Screening Primo Trimestre o Ultrascreen®

La parola inglese screening significa ricerca, lo screening prenatale della Sindrome di Down è quindi la ricerca delle gravidanze a rischio per tale patologia. Si tratta, quindi, di un calcolo delle probabilità che il feto sia affetto dal Mongolismo. Tale calcolo si basa su alcuni elementi, i principali fra questi sono l’età materna, il dosaggio di due sostanze (Free-Beta HCG e PAPP-A) prodotte dalla placenta e presenti nel sangue materno, la misurazione ecografica della Traslucenza Nucale (NT) ed eventualmente altri parametri ecografici quali la presenza del nucleo di ossificazione del naso, etc…

L’età materna

Incidenza della Sindrome di Down al crescere dell’età materna

Incidenza della Sindrome di Down al crescere dell’età materna

La scoperta che le donne più anziane hanno un rischio maggiore di partorire un bimbo affetto da anomalie cromosomiche, come ad esempio il Mongolismo, è stata fatta da Langdon Down (da qui il nome di Sindrome di Down) nel lontano 1866. L’amniocentesi fu quindi consigliata a tutte le donne dai 35 anni in su per cercare di individuare i casi anomali.

L’esperienza ha mostrato che questo è un metodo scarsamente efficace e costoso. Infatti se sottoponessimo a diagnosi prenatale invasiva (amniocentesi o prelievo dei villi coriali) tutte le donne di 35 o più anni individueremmo solo il 50% circa dei feti Down praticando però la diagnosi prenatale invasiva sul 15% (cosidetti falsi positivi) circa di tutte le gravidanze! Se sottoponessimo a diagnosi prenatale, invece, solo il 5% (e questo numero è importante per comprendere i passaggi successivi) delle gravide a rischio maggiore, cioè quelle di 39 o più anni, individueremmo solo il 30% dei feti Down.

Ciò dimostra che basarsi solo sull’età materna per individuare i casi a rischio è veramente poco efficace, perché se è vero che il rischio aumenta con il crescere dell’età materna, è altrettanto vero che il numero di donne giovani che partoriscono è ovviamente molto maggiore e queste pazienti, considerate giustamente ma genericamente a basso rischio, non hanno alcuna possibilità di sapere se il loro feto è affetto da una anomalia dei cromosomi.

Lo screening biochimico

Sin dalla fine degli anni 80 fu scoperta la possibilità di indentificare nel sangue materno dei marcatori biochimici che permettevano di ottenere un calcolo del rischio che il feto fosse affetto dalla Sindrome di Down. Tale test, detto Tri-Test, che integrava anche il parametro età materna, consentiva di individuare a partire dalla 15° settimana circa il 60% dei Down mettendo in allarme il 5% di tutte le pazienti.

Nel corso degli anni 90 la ricerca ha fatto ulteriori progressi, anche per venire incontro alla richiesta di test più precoci per individuare i casi a rischio nel corso del terzo mese e ottenere rapidamente la diagnosi certa con il prelievo dei villi coriali. Tali studi hanno consentito di individuare degli indicatori precoci di rischio (markers) di cromosomopatie, che sono la Free-Beta HCG e la Pregnancy Associated Plasma Protein A (PAPP-A).

La concentrazione di tali sostanze nel sangue materno subisce delle variazioni nella maggior parte dei casi di anomalie dei cromosomi e ciò, prendendo in esame anche l’età materna, consente di individuare il 65% dei feti anomali sin dal terzo mese di gravidanza con un 5% di falsi positivi. Tale dato è quindi sovrapponibile a quello ottenuto nel secondo trimestre, ma appare evidente il vantaggio di anticipare di almeno un mese la valutazione del rischio grazie allo screening biochimico del primo trimestre.

Gocce di sangue essiccato per lo screening

Gocce di sangue essiccato per lo screening

Screening biochimico del primo trimestre diminuisce; nel caso di T.18 e T.13 diminuiscono entrambe

Screening biochimico del primo trimestre

Lo screening ecografico

Nello stessso periodo è stato introdotto nella pratica clinica, grazie agli studi della Fetal Medicine Foundation di Londra (FMF), lo screening delle aneuploidie ( aneuploidia vuole dire che il numero dei cromosomi del feto non è corretto) realizzato tramite la misurazione ecografica della Nuchal Translucency (N.T.), o traslucenza nucale. La traslucenza nucale è una piccola raccolta di liquido che si trova sotto la pelle della zona cervico-dorsale in tutti gli embrioni fra le 10 e le 14 settimane di gravidanza. Le ragioni della presenza di tale falda liquida non sono ben chiare, ma è un dato di fatto che in presenza di un aumento dello spessore della traslucenza cresce anche il rischio che il feto sia affetto da alcune patologie congenite quali le anomalie dei cromosomi, le cardiopatie ed altre sindromi genetiche o malformative.

Feto a 12 settimane con Traslucenza elevata

Feto a 12 settimane con traslucenza nucale elevata

ultra-screen

Feto a 12 settimane con traslucenza nucale normale

Immagine ecografica di traslucenza nucale elevata

Feto a 12 settimane con traslucenza nucale elevata

Immagine ecografica di traslucenza nucale normale

Feto a 12 settimane con traslucenza nucale normale

Traslucenza nucale

Lo spessore della traslucenza aumenta con l’età gestazionale, quindi per la sua valutazione non si può prescindere da una accurata datazione ecografica della gravidanza, considerato anche che questo indicatore di rischio (marker) ha significatività statistica solamente da 11,4 a 14,0 settimane, cioè quando il feto misura da 45 a 84 mm. L’esame è ugualmente accurato anche nelle gravidanze plurime, dato che il calcolo del rischio viene effettuato per ogni embrione singolarmente.

Gli studi sulla traslucenza nucale hanno dimostrato come questo marker sia in grado di identificare il 75% circa dei casi di Sindrome di Down, mettendo in allarme il 5% delle pazienti sotoposte al test, a patto che ci si attenga rigidamente alle regole di misurazione della traslucenza indicate nelle linee guida suggerite dalla Fetal Medicine Foundation.

L’importanza del rispetto di tali regole è stata dimostrata da diverse pubblicazioni che hanno evidenziato un aumento della capacità di individuazione dei casi di trisomia 21 (o Sindrome di Down), che passa dal 30 all’84% dopo avere modificato la tecnica di misura della traslucenza, adeguandosi al protocollo della Fetal Medicine Foundation. L’esperienza individuale del nostro centro, che conta tre operatori certificati, si basa su più di 20.000 pazienti nelle quali è stata misurata la NT e dimostra come con apparecchiature e training adeguato è possibile ottenere una corretta misurazione pressocchè nel 100% dei casi individuando l’80% circa dei casi di Sindrome di Down.

La misurazione della Traslucenza Nucale deve essere eseguita in modo preciso ed uniforme da chiunque voglia utilizzare tale strumento di screening e l’operatore deve ricevere una certificazione che dimostri il corretto apprendimento di tali regole ed impiegare un ecografo di elevata qualità per potere ottenere dei risultati validi. Gli operatori del Centro sono stati fra i primi in Italia ad ottenere tale certificazione già nel 1997.

Si raccomanda alle pazienti di assicurarsi che chi esegue tale particolare ecografia sia in possesso di tale certificazione che viene rinnovata di anno in anno dalla FMF, cui il medico deve sottoporre periodicamente i propri dati, a chi dimostra di eseguire correttamente l’esame. Si tratta di un vero e proprio controllo della qualità dei risultati che garantisce alla paziente che l’esame, estremamente delicato, venga eseguito in modo adeguato.

Certificazione di competenza della Fetal Medicine Foundation

Certificazione di competenza della Fetal Medicine Foundation

Traslucenza nucale: Fetal Medicine Foundation audit

Traslucenza nucale: Fetal Medicine Foundation audit

Nel frattempo sono stati studiati altri parametri di rischio ecografico per la Sindrome di Down che possono ulteriormente migliorare l’efficienza dello screening del primo trimestre: i principali sono il nucleo di ossificazione del naso, il dotto venoso ed il rigurgito della valvola tricuspide. Si tratta, però, di marcatori di rischio che richiedono particolari capacità ed esperienza specifica dell’ecografista, ancora superiori rispetto a quelli necessari alla misurazione della sola NT, ed ecografi di livello elevatissimo.

Includendo l’osservazione dell’osso nasale e/o degli altri marcatori nello screening del primo trimestre si migliora l’efficacia del test riducendo il numero dei falsi positivi, cioè degli allarmi inutili, al di sotto del 5%. Abbiamo quindi inserito nella routine di tutti gli esami che effettuiamo anche la ricerca del nucleo di ossificazione del naso. Questi ulteriori marcatori sono segni ecografici di interpretazione molto difficile e che richiedono una ulteriore certificazione da parte della Fetal Medicine Foundation; anche in questo caso gli operatori del Centro di Diagnosi Prenatale hanno ottenuto queste certificazioni da diversi anni, a garanzia della qualità del lavoro svolto.

Presenza del nucleo di ossificazione del naso

Presenza del nucleo di ossificazione del naso

Assenza del nucleo di ossificazione del naso

Assenza del nucleo di ossificazione del naso

Traslucenza nucale e nucleo di ossificazione del naso

Flusso del dotto venoso

Flusso del dotto venoso

Flusso della valvola tricuspide

Flusso della valvola tricuspide

Flusso del dotto venoso

Flusso della valvola tricuspide

Lo Screening Combinato del Primo Trimestre (Ultrascreen®)

Nel 1995 gli operatori del Centro di Diagnosi Prenatale di Palermo, in collaborazione con i Laboratori NTD di New York, leader nel settore degli screening prenatali, hanno intuito la potenzialità derivante dalla possibile integrazione dei due metodi di screening sopra descritti. Infatti lo screening biochimico e quello ecografico si basano su elementi fra loro indipendenti, quindi possono essere utilizzati insieme aumentando la capacità di individuazione dei feti con anomalie e diminuendo la percentuale dei falsi positivi.

Ultrascreen

Ultrascreen

È stato così messo a punto un programma computerizzato che consente l’integrazione dei dati relativi alla biochimica, alla misurazione della traslucenza nucale ed all’età materna, ottenendo quello che da molti anni è il miglior metodo di ricerca dei casi a rischio per le anomalie dei cromosomi. Abbiamo denominato Ultrascreen® questo screening che si basa su una particolare tecnologia, detta “dried blood” cioè sangue asciutto, che prevede che le gocce di sangue vengano raccolte su una speciale carta da filtro in analogia a quanto già fatto per gli screening neonatali per le malattie metaboliche, lasciandole poi essiccare all’aria.

È stato dimostrato che la quantità misurabile di Free-Beta HCG in un campione di sangue liquido aumenta in modo esponenziale in base alla temperatura ed al tempo trascorso fra il prelievo ed il momento del dosaggio. Ciò spiega perché la tecnologia delle dried spots sia importante per l’attendibilità dello screening : una quantità elevata di Free-Beta HCG, infatti, aumenta in modo sostanziale la percentuale di falsi positivi. Se il campione ematico viene invece analizzato subito o conservato su carta bibula non vi è alcuna alterazione nella quantità della Free-Beta. La validità dello screening combinato del primo trimestre eseguito con la tecnologia delle dried blood è inoltre convalidata dal suo impiego in più di 1.000.000 di pazienti in svariati paesi del mondo. L’Ultrascreen® consente infatti di individuare il 90% dei casi di aneuploidie (Trisomia 21, Trisomia 18 e la Trisomia 13) con un 5% di falsi positivi, dati confermati da numerosi studi internazionali, fra cui anche i nostri.
Includendo inoltre l’osservazione dell’osso nasale e/o degli altri marcatori si migliora ancora l’efficacia del test riducendo il numero dei falsi positivi, cioè degli allarmi inutili, al di sotto del 5%.

In conclusione lo Screening Combinato del primo trimestre (ULTRASCREEN®) ha una elevata efficacia e consente di effettuare, nei casi a rischio, la diagnosi prenatale tramite la villocentesi, giungendo alla diagnosi entro i 90 giorni (termine di legge per l’interruzione volontaria della gravidanza).

Visione feto primo trimestre in 4D

L’esame è in grado di fornire informazioni utili a tutte le donne, quindi è consigliabile a chiunque sia in gravidanza indipendentemente dall’età, come già spiegato in precedenza. Un discorso a parte deve essere fatto per le donne di 35 o più anni che hanno un rischio di partenza più elevato. In questi casi in passato si consigliava la diagnosi prenatale invasiva che è ovviamente in grado di individuare tutti gli anomali.

Villocentesi ed amniocentesi presentano però una piccola quota di rischio di aborto, e non tutte le donne quindi desiderano sottoporsi a queste procedure. In questi casi l’Ultrascreen® può rivelarsi un validissimo aiuto per selezionare le pazienti a rischio maggiore. Bisogna ricordare che lo screening del primo trimestre nelle pazienti over 35 consente l’individuazione del 90% dei casi anomali riducendo però del 75% il numero di diagnosi prenatali. Un numero sempre crescente di madri over 35 richiede, quindi, lo screening combinato per decidere se sottoporsi a procedure invasive. Dobbiamo comunque ribadire che non tutti i casi anomali possono essere individuati e che quindi la scelta finale deve essere lasciata alla paziente stessa.

Lo screening del primo trimestre è inoltre particolarmente utile per le pazienti che si sono sottoposte a fecondazione assistita, che sono ovviamente piuttosto restie a sottoporsi a procedure invasive di diagnosi prenatale. In queste pazienti  l’Ultrascreen®, come pure lo screening basato sul DNA fetale, si dimostrano strumenti di grande efficacia

L’esame può essere eseguito da 9,0 a 14,0 settimane di gravidanza per la parte biochimica e da 11,4 a 14,0 settimane per la parte ecografica. Il prelievo di sangue e l’ecografia possono anche essere eseguiti in due momenti differenti, purché compresi nell’epoca idonea, anzi se il prelievo di sangue viene effettuato a 10-11 settimane e l’ecografia a 12-13 l’efficacia del test si rivela ancora migliore.

Bisogna ricordare che se il risultato del test indica un rischio elevato ciò suggerisce solamente l’opportunità di indagare in modo più approfondito con altri esami, come la diagnosi prenatale invasiva, e non significa necessariamente che il vostro bambino abbia dei problemi. E’ possibile ricorrere al prelievo dei villi coriali da 12 a 14 settimane, dopo tale epoca è consigliabile eseguire l’amniocentesi.

I progressi della tecniche di Biologia Molecolare hanno consentito, recentemente, di utilizzare una nuova tecnica di screening delle anomalie dei cromosomi basata sulla ricerca del DNA fetale libero presente nel sangue materno (Non Invasive Prenatal Testing – NIPT), che può trovare utile impiego ad esempio nei casi di screening a rischio intermedio (vedi ricerca del DNA fetale nel sangue materno).